I premi, principale strumento dell’azione di promozione del cinema europeo, discussione politica e scambio culturale, stanno perdendo molto del loro impatto: è interessante che a dirlo sia la presidente dell’Accademia del Cinema Europeo, Agnieszka Holland, alla viglia della cerimonia di consegna dei 35° European Film Awards a Reykjavick.
Ma la provocazione, del la regista polacca non riguarda tanto questi premi europei, che, continua, “non sono stati mai così popolari, penso piuttosto agli Oscar, che in un certo senso sono diventati anacronistici. E lo stesso vale per i festival, se pensati alla maniera tradizionale, dove tutto ruota intorno alla creazione del glamour: se questo in passato era alla base della creazione del desiderio di andare al cinema, ora le cose non stanno più così. É necessario coinvolgere il pubblico in primo luogo, come fa ad esempio il Festival New Horizons in Polonia, focalizzato soprattutto sul cinema mainstream europeo (i film di Cannes ad esempio) e sul cinema d’avanguardia di tutto il mondo. Non credo più nella formula dove il pubblico aspetta di vedere le star, dove esiste questa divisione così netta.
E credo invece molto nelle giurie che coinvolgono il pubblico giovane realmente interessato al cinema, penso che il cinema debba diventare democratico e affrontare questioni urgenti, che debba soprattutto provocare.”
Questa è la linea che l’Accademia cerca di perseguire, “ad esempio con il Young Audience Award. il Mese del Cinema Europeo, l’University Film Award”
L’European University Film Award di quest’anno è andato a E/O di Skolimowski, un film che rappresenta esattamente, secondo la Holland, l’innovatività, che risiede nella “capacità di uscire dalla confort zone, senza timore di entrare in terreni pericolosi dal punto di vista stilistico, formale, ma soprattutto politico. E sicuramente non ha a che vedere con l’età, dato che Skowlimoski ha 84 anni! A volte, invece ho come l’impressione, davanti ad alcuni esordi di registi giovani, di esser davanti a qualcosa di visto e rivisto.”
Ed è questa l’unico modo con cui il cinema indipendente europeo può fare la differenza e provare a competere con quella produzione seriale che “oggi non è più innovativa come in passato”. Si riferisce alle produzioni che alla fine degli anni ’90 gettarono le basi della Golden Age della serialità televisiva di cui tanto è stato detto, e che Holland conosce da vicino, avendo diretto alcuni episodi di The Wire.
“Serie come quella, o come The Sopranos, o Six Feet Under hanno rivoluzionato lo scenario, affrontando temi che il cinema non toccava: erano ambiziose, sorprendenti, e venivano prodotte mentre assistevamo alla crisi del cinema indipendente americano e alla crescente difficoltà di fare qualcosa di veramente originale e importante.”