“Diaz” di Daniele Vicari, è stato accolto con grande calore alla Berlinale ed ha ottenuto il Premio del Pubblico della sezione Panorama. Di seguito, l’intervista a Daniele Vicari alla vigilia de Festival
Penso che il Festival di Berlino sia la ribalta giusta per un film che non riguarda la sola Italia ma l’Europa tutta.
Per la storia che si narra, per coloro che furono i protagonisti di quei fatti (una quarantina i ragazzi tedeschi, e altri da Francia, Spagna, Belgio…), per gli attori che li interpretano, per le tante lingue che si parlano.
E poi perché la vicenda della Diaz è un gravissimo vuoto di democrazia accaduto in un Paese occidentale.
Su questo tutti dobbiamo interrogarci».
Così Daniele Vicari spiega a Cinema & Video International le ragioni della sua partecipazione al Festival di Berlino nella sezione Panorama.
Lo troviamo – ancora impegnato in postproduzione – e parliamo con lui di “Diaz”.
Girato la scorsa estate e accompagnato da non poche polemiche “preventive” per la delicatezza del tema trattato, prodotto da Fandango in coproduzione con la rumena Mandragora Movies e la francese Le Pacte, “Diaz. Dont Clean Up This Blood” ricostruisce i giorni del G8 genovese, dalla manifestazione di sabato 21 luglio 2001 all’irruzione della polizia nella scuola Diaz, dove erano ricoverati alcune centinaia di manifestanti, la brutalità di quell’aggressione e poi i fatti di Bolzaneto, dove quei ragazzi vennero sequestrati e ulteriormente brutalizzati, fino al martedì seguente quando il magistrato fece liberare tutti i ragazzi fermati.
Il film è interpretato, tra gli altri, da Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Paolo Calabresi, Rolando Ravello, Renato Scarpa.
Ma Vicari preferisce parlare di un film corale, con 130 personaggi e altrettanti attori tutti ugualmente importanti, per ricreare in modo credibile e realistico il mosaico che ricostruisce una storia tragicamente vera, raccontata senza nulla voler aggiungere o cambiare di quanto avvenne.
«Noi – io e Laura Paolucci – abbiamo lavorato su due livelli per la costruzione della sceneggiatura: incontri con le persone coinvolte nei fatti, ragazzi e poliziotti, e gli atti del processo. Che sono poi la parte su cui si articola la struttura narrativa: il film ricostruisce gli eventi così come i pubblici ministeri li ricostruirono in aula, quindi non in modo lineare ma per blocchi, tutti convergenti verso quei fatti che sono poi il cuore del racconto, i nove minuti del blitz della Polizia alla scuola Diaz. Nove minuti, tanto durò quella follia. I giorni di Bolzaneto sarebbero solo stati il necessario, inevitabile corollario di quella manciata di minuti».
Vicari cita “Il Castello dei Destini Incrociati” di Calvino per spiegare il gioco di incastri, di frammenti che contribuiscono a completare il tutto. Preparato con spirito documentaristico, che è poi il genere alla base della formazione registica di Vicari, che con il documentario si è a più riprese confrontato, «la presa diretta sulla realtà è il mio modo costitutivo di considerare il cinema».
C’è sempre un sottofondo realistico in ogni pellicola di Vicari, anche quelle apparentemente più estranee al genere (“Velocità massima”, “Il passato è una terra straniera”).
«In ogni mio film ci sono dettagli di realtà, anche se poi ho sempre usato linguaggi diversi. In questo caso – la prima volta che faccio un film di finzione tratto da fatti realmente accaduti – ho cercato in ogni modo di evitare che la cronaca schiacciasse il linguaggio cinematografico.
Né mi interessava trovare le ragioni sociologiche di certi comportamenti.
Io voglio che gli spettatori si interroghino senza alcuna costrizione o pregiudizio su come sia possibile che in un Paese civile, per alcuni giorni si sia assistito alla sospensione dei diritti democratici: un fatto di una enormità, di una inaccettabilità che non può essere rimosso (come invece accade), ma va ricordato, scandagliato.
Quali sono, bisogna chiedersi, le ragioni profonde di tali fatti, fondanti e fondamentali per la comprensione del catastrofico decennio che ne è seguito?».
In uscita in Italia il 13 aprile, per il suo film Daniele Vicari spera in Berlino per dargli visibilità inernazionale.
Tuttavia è importante che “Diaz” abbia già due coproduttori internazionali come Mandragora Movies e Le Pacte con quote importanti di partecipazione.
«Produttivamente parlando – spiega ancora il regista – meno del 20% sono fondi pubblici, il resto sono investimenti privati».
62°BERLINALE/La Prima Volta
“Diaz” segna ‘la prima volta’ di un film sostenuto dalla BLS ad un Festival del Cinema:
“Il contributo di BLS al film è stato piccolo, (97 mila euro, n.d.r.)-afferma Christiana Wertz, – ma siamo comunque molto orgogliosi di partecipare in questo modo ad uno dei festival più importanti del mondo, grazie al nostro fondo che ha appena un anno di vita!”
BLS seguirà con attenzione anche il Co-Production Market della Berlinale, in particolar modo Books at Berlinale.
Spiega Wertz: “Siamo molto interessati al riscontro che avrà “Eva Dorme”, di Francesca Melandri un romanzo che sta avendo un grande successo e che è anche un viaggio a ritroso nel tempo e nella storia dell’Alto Adige.”